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mercoledì 2 gennaio 2013

Prìncipi

Sto a Galway da ben 3 mesi e non ho ancora rimorchiato. Secondo me è perché ogni volta che vado in un pub sono con mio cognato e la gente pensa che stiamo insieme, infatti l'unica sera che ho più o meno rimorchiato ero uscita DA SOLA. Un tizio mi ha chiesto di conoscerci mentre ero fuori dal pub che fumavo. Che poi era un tizio totalmente inutile che si credeva figo, un ragazzino di 22 anni che, appena ha saputo che io di anni ne ho 33, ha pensato di aver fatto 13 e ha iniziato a tentare di abbracciami dicendomi I don't care, I like you! L'ho liquidato dicendogli che I CARE e che non me ne faccio niente di un adolescente. Poco dopo un altro tizio mi biascica una cosa che non ho capito e che mi sono fatta ripetere circa 5 volte. Alla fine ho capito che mi diceva solo Hello. Non so chi stava messo peggio, se io che non capivo un semplice hello o lui che non ce la faceva a dirlo. Vabbé, capita.
Il fatto è che invece ieri sera ho conosciuto un tizio mooooolto carino. Amico di amici, 33 anni, single, rastafariano, vegetariano dalla tenera età di 12 anni, percussionista, drogato di caffè e tabacco, la sua birra preferita è la Guinness e... mamma mia che bel suono aveva il mio nome quando lo diceva lui! Inoltre ieri mi sentivo pure carina (e forse lo ero anche), quindi sembrava tutto perfetto.
Ovviamente non potevo esimermi dal fare una delle mie solite figure de merde: mi sono dimenticata il suo nome dopo ben 1 solo nanosecondo. Ma che volete?, è polacco, in Polonia hanno nomi un po' strani. Una cosa tipo Erik o Jared o Darren.
Insomma, dopo tipo 10 volte che lui pronunciava il mio nome mentre parlavamo nella terrazza fumatori di un pub (What do you think Valeria? o You know, Valeria... o I agree with you Valeria), mi sono detta che non poteva andare avanti così. Ho raccolto tutto il mio charme e savoir faire (3 secondi netti), mi sono messa gli occhi a gatto-con-gli-stivali-di-Shrek e gli ho detto: Ehm, before we go back inside, can you please tell me again your name? Mi ripete il suo nome, faccio un pessimo tentativo di ripeterlo e lui mi dice che lo posso chiamare come mi pare, anche Erik. No! I want to call you with the right name! Sorride. Bellino lui... Mi fa lo spelling e, finalmente, capisco: Jarek (si legge IARECH, mo' ditemi voi se era facile!). Ma sono ancora in pericolo: posso ancora dimenticarlo, quindi gli chiedo se ha una penna. Mi guarda un po' confuso, mica l'ha capito che devo fare. Mi fiondo al tavolo dove avevo lasciato la borsa, afferro la penna che tengo sempre in borsa (come una diligente signorina ben organizzata) e mi scrivo il suo nome sul palmo della mano. Glielo mostro e sorride e mi dà il 5. Bellino lui.


Abbiamo chiacchierato di politica, religione, rispetto, lavoro, dipendenze. Mi piaciucchia proprio. Quando vado via mi dà un abbraccio un po' più lungo del dovuto e un bacio sulla guancia. Penso di essere diventata sul fucsia andante, per fortuna che le luci erano basse. Mi fa Goodbye Valeria, see you! E NON mi chiede il numero di telefono.
Poco dopo scopro che sta a Waterford, che è tipo dall'altra parte dell'Irlanda, ma non dall'altra parte dove andrò a stare io, dall'altra parte ancora. Dannazione. Poi dici la sfiga.

sabato 22 dicembre 2012

Segnalazioni.

Oggi mi sono messa a piangere dopo aver visto l'ultima puntata (ultima in ordine cronologico, intendo) di How I Met Your Mother. Mi sono sentita un po' signora-idiota-che-piange-quando-Brooke-e-Ridge-si-sposano-per-la-tredicesima-volta. Che vergogna. Inoltre, cosa ancor peggiore, pensando di non essere l'unica che provasse un sentimento di questo genere, ho detto a mia sorella che era lì a guardare HIMYM con me: "Cioè, mi viene da piangere!". Lei mi ha guardato con espressione allibita e compassionevole. Che vergogna al quadrato. Non contenta di tutto ciò, lo sto anche scrivendo pubblicamente sul blog: sono proprio senza vergogna.

Il raffreddore sta finalmente andando via. Tutto merito di un farmaco miracoloso che non solo ha ucciso tutti i cattivi germi che infestavano il mio corpicino delicato, ma mi ha anche assicurato 11 ore di sonno continuo e un sogno allucinante che aveva tra i protagonisti anche una mia ex coinquilina che non vedo tipo da 3 anni. Questo fantastico ritrovato della scienza irlandese si chiama Night Nurse (un nome che è tutto un programma): 2 capsule prima di nanna e il raffreddore diventa solo un ricordo. Veloce come è arrivato se n'è andato. E' rimasto giusto il tempo di obbligare mia sorella a segregarmi in casa per 2 giorni e di farmi saltare un pranzo con le amiche. Grazie raffreddore, grazie.


Come dicevo nel post scorso, ho finalmente trovato lavoro (per fortuna che non siamo morti tutti, mi sarei un tantino incazzata se il mondo fosse finito giusto quando ho trovato lavoro dopo 3 mesi di invio curricula a mezza Irlanda con risultati sconfortanti) e quindi a breve dovrò spostarmi vicino Dublino, a Swords esattamente (o, come dico in questi giorni, a Spade).. Sto cercando casa... o meglio, sto guardando gli annunci. Devo decidermi però, eh, ché mica stanno aspettando a me. Il fatto è che mi sono innamorata di una casa, che però è un po' cara... certo, è ben tenuta, avrei il bagno personale, un grande giardino, abiterei solo con una persona e ci sarebbe anche un gatto. Però 480 euri è tanto, eh. Vabbè, ci penserò. E visto che cambio città oltre al mio indirizzo di casa, forse, dovrebbe cambiare anche l'indirizzo del blog. O no?

domenica 16 dicembre 2012

Tutto il mondo è Paese.

Oh!, che bel Paese l'Irlanda! Una nazione di persone gentili, carine e disponibili. Una nazione che ha dei costrutti grammaticali speciali per chiedere gentilmente di fare qualcosa, una nazione che ha come parole più usate sorry, thanks e sláinte (che in gaelico significa salute ed è il brindisi irlandese per eccellenza)  e dove le persone non ti dicono semplicemente hi per salutarti, ma contemporaneamente ti chiedono pure how are you?. Roba che quando chiedi come arrivare in un posto X, è probabile che la persona a cui chiedi ti ci porti pure, anche se la cosa influisce sulla sua tabella di marcia. Roba che se per strada sei distratto e vai a sbattere contro qualcuno causandogli danni più o meno gravi, il tizio in questione ti chiede scusa come se fosse colpa sua. Ve lo immaginate un irlandese che, al posto di Richard Ashcroft, tenta di girare il video di "Bitter Sweet Symphony"?

'Cause it's a bittersweet symphony, this... sorry... life
Trying to make... excuse me... ends meet
You're a... hi, how are you?... slave to money then you die
I'll take you down the only road I've ever been down...
oh, yes, go straight ahed and then turn right... you're welcome!...
You know the one that takes you to the places
where... excuse me... all the veins meet yeah

No change... sorry... I can't change
I can't change, I can't change
But I'm here in... excuse me... my mind
I am... thanks... here in my mind
But I'm a million different people
from one... sorry... day to the next
I can't change my mind
No, no... hi, how are you?... no, no, no, no... bye... no, no, no, no, no, no...

No, non regge.
Però i matti esistono anche qui e sono l'eccezione che conferma la regola.
Ieri vado a fare spesa con mia sorella da Tesco. Parcheggio immenso, posti liberi zero. Facciamo un paio di giri, ma trovare parcheggio è un po' un'impresa come in tutti i paesi civilizzati. Avevamo anche avvistato un paio di persone dirigersi verso le rispettive macchine e che poi non sono andate via (pare che gli irlandesi abbiano un'insana passione per le attività da svolgere in macchina, tipo parlare al telefono, mangiare, chiacchierare con l'amica di turno, dormire...). A un certo punto vediamo una signora con carrello andare verso la propria macchina. Ci fermiamo in un posto che non dava particolari problemi allo scorrere del traffico parcheggiante e aspettiamo. La signora inizia a mettere tutto nel cofano con una flemma degna di un bradipo. Finito il trasferimento nel cofano, lo chiude e si avvia lentamente verso il deposito-carrelli mentre estrae il cellulare dalla tasca e lo guarda. Nel frattempo iniziano ad arrivare macchine dietro la nostra. Mia sorella mi suggerisce di scendere così posso "occupare" il posto della signora che va via mentre lei fa un altro giro per non bloccare il traffico. La signora intanto, dopo aver lasciato il carrello, è tornata vicino alla macchina e pare sia nel bel mezzo di un'accesa conversazione su Whatsapp o Facebook o non-so-che e non accenna ad andare via. Mi avvicino.
"Scusi", le dico, "sta andando via?"
Solleva lo sguardo dal telefono e mi fa: "Sì, sto andando via, ma con i miei tempi, ok?".
Minchia! Per un attimo rimango basita, non me l'aspettavo che ce le avesse girate già di prima mattina. È sabato, mica lunedì! Con un sorriso le dico: "Ok", come a chiudere la conversazione.
Mi sa che il fatto che io non abbia replicato l'ha incarognita ancora di più, perché dopo un attimo di silenzio mi abbaia di nuovo contro: "...no, perché se mi metti fretta io non me ne vado, capito?!?!?!".
Ma che vuole questa? Dannazione, perché ancora non so litigare bene in inglese? Dovrebbero insegnartele a scuola 'ste cose, e invece no!, ti insegnano il present perfect progressive, ché tanto non lo capirai mai né tanto meno lo userai. Le dico: "Oh, no, non le sto mettendo fretta, stavo solo chiedendo..." e dentro di me inizio a chiedermi quanto tempo ci metterà per andarsene dopo questa breve conversazione. Decido di chiamare mia sorella, che stava ancora facendo un giro nel parcheggio, per dirle che quel posto ce lo eravamo giocate e mentre cerco il cellulare nella borsa vedo la macchina della tipa che va via 20 secondi esatti dopo che mi aveva detto che aveva i suoi tempi.
Ma che è matta? E allora vedi che non c'aveva niente da fare nel parcheggio?!?!?! E lì, l'illuminazione. Un Paese può essere civilizzato quanto vogliamo, le persone possono essere più o meno gentili, le regole possono venire rispettate o totalmente ignorate: tutto questo non importa. Non sono i soldi, i gioielli, gli abiti costosi o le case di lusso a fare la felicità. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per rimanere calmi e vivere tranquilli non è un lavoro o l'amore: è un parcheggio (e questo video ne è testimone).

giovedì 13 dicembre 2012

All I want for Christmas is a job.

Cerco lavoro, ma proprio lo cerco proprio tanto. Un po' come molti, di questi tempi. Solo che io lo cerco in Irlanda in una lingua che conosco ai livelli di sopravvivenza minima. Dal 20 di Ottobre circa mando CV a destra e manca, ripetendo gli invii anche 3 o 4 volte (nel caso di Apple 7, mi pare, nel caso di Google e di eBay penso siamo già alla dozzina).
Ci sono questi bellissimi e dettagliatissimi annunci, che ti descrivono esattamente che tipo di lavoro andrai a fare, quanto prenderai, che tipo di persona cercano, quasi ti dicono pure quante volte ti potrai alzare per andare a fare pipì mentre sarai in turno. Li sfogli, li leggi, ti rendi conto che, bene o male, sai fare tutto quello che ti chiedono e pigi "Apply".
Questo tastino infernale ti catapulta in una pagina, all'apparenza innocua, nella quale ti descrivono di nuovo il lavoro e ti chiedono se hai il permesso di lavorare in Irlanda e se hai bisogno di un visto. Poi ti chiedono di immettere i tuoi dati sensibili: chi sei, quanti anni hai, di dove sei (quanti fagioli ci sono nel barattolo...).
Comunque fin qui tutto ok. Dopo che hai compilato tutto, ti chiedono di scrivere, dettagliatamente, tutte le tue esperienze lavorative immettendo date, numeri di telefoni di supervisori/datori di lavoro e mansioni rivestite (cosa che, ovviamente, hanno già nel curriculum in allegato, ma leggerlo forse gli viene troppo difficile). Finito di compilare questa parte rognosa, c'è la parte relativa alla formazione (la mia è molto breve, devo dire, e questa cosa mi fa sentire piccola piccola).
Poi iniziano le domande strane:

Quanto vuoi come stipendio?
Ah, perché  posso decidere io? Ok, allora facciamo ventimilamilionidimiliardi di euri. Milionedimiliardo più, milionedimiliardo meno.

Quali sono le tue aspettative di carriera?
Guarda, se fosse per me vorrei fare il Presidente, al massimo L'Amministratore Delegato. Per cosa era l'annuncio? Operatore di call center? Ok, va bene lo stesso.

Hai la patente?
Si, ma... cazzo, sto cercando lavoro in un call center, mica come camionista!

Sai nuotare?
Eh, ho capito che in Irlanda piove un sacco, ma da lì a dover nuotare per arrivare in ufficio la mattina...

Sei musulmano?
No, guarda, teoricamente sono cattolica. Però la carne di maiale non mi fa impazzire e la evito. Fa uguale?

Infine, ti chiedono di scrivere una short cover letter, una specie di lettera di presentazione nella quale dovresti evidenziare i tuoi punti forti che potrebbero fare gola all'azienda.
Insomma, faticosamente ti districhi tra queste 1000 domande, tenendo a mente che, sia nelle risposte, sia nella cover letter, devi sembrare positiva ma realista, disponibile ma non disperata, professionale ma friendly, motivata ma non ruba-lavoro, precisa ma non rompicoglioni.
Finalmente arrivi alla fine e ricevi la mail di conferma dell'avvenuta candidatura (di solito un servizio automatico del sito di annunci), che generalmente recita così:

"Gentile Valeria, 
grazie per averci mandato il Suo CV. 
Vista l'ingente mole di CV che ci pervengono in questi giorni, verificheremo se le Sue competenze corrispondono al profilo professionale che cerchiamo. Solo in quel caso La ricontatteremo per un colloquio.
Grazie per l'interesse che ha dimostrato verso la nostra azienda.
Cordiali saluti"

Ecco, io di queste risposte ne ho tipo un centinaio, e a volte manco questo ricevo. Vabbè.
Raramente capita anche che ti ricontattano perché your skills match the profile (a me è capitato solo 3 volte) e lì iniziano i guai. Un'agenzia di recruitment mi ha mandato delle possibili domande per prepararmi al colloquio che hanno dell'allucinante. Sì, perché al colloquio vogliono che gli racconti le storielle. È possibile che ti chiedano robe tipo: "descrivi una situazione in cui sei riuscita a usare la persuasione per convincere qualcuno a vedere cose a modo tuo". Oppure "descrivi una volta in cui hai previsto un potenziale problema e hai sviluppato misure di prevenzione", o ancora "dimmi di una volta in cui sei stata in grado di affrontare con successo un'altra persona, anche quando tale persona non ti piaceva particolarmente". E ricordiamoci sempre che sto cercando lavoro in un call center (con tutto il mio rispetto per il call center, ci ho passato 10 anni dentro a un call center a Roma!).
Insomma: studi, ti prepari e a questo colloquio ci vai. La mattina ti alzi a un orario improbabile, oscillante tra le 05.30 e le 06.15. Ti vesti bene, tipo tailleur, scarpe col tacco e trucco leggero. Ti rendi conto che morirai di freddo visto che ci sono 3°, ma per il lavoro questo ed altro. Ti rechi in stazione, ché mica il colloquio ce l'hai nella tua città, NO!, ti devi fare minimo un'ora e mezza di treno/autobus. Arrivi in questo posto, generalmente un business park lontano dal centro città, con almeno tre quarti d'ora d'anticipo (meglio in anticipo che in ritardo, ti dici, anche se stai al freddo e al gelo). Localizzi l'azienda, ché in questo dannantissimo business park ci saranno 45 edifici tutti uguali, e ti rivolgi alla tizia della reception che, notando la tua espressione da zombie, ti chiede se vuoi un caffè. Accetti volentieri e, proprio mentre stai per dare il primo sorso ristoratore a quel bibitone caldo, arrivano i tuoi esaminatori. Non hai abbastanza mani per tenere la borsa, il caffè e stringere la mano a queste persone sorridenti che, noti subito, sono vestite come se stessero andando a fare la spesa al Lidl. Incurante, molli la borsa a terra (lei ovviamente, infida, fa un tonfo sordo rivelando parte del contenuto, tra cui una rivista di moda e della cartaccia appallottolata) e stringi la mano a queste persone che ti introducono subito in una stanza con un grande tavolo. Lì inizia la battaglia. Intanto vorrei sottolineare che non è leale essere in tre contro una. Poi iniziano a farti domande su situazioni-tipo, su possibili risoluzioni di guasti standard a periferiche quali stampanti, monitor, mouse e sulle tue abilità relazionali, annuendo con vigore e facendo sorrisi a 32 denti a qualsiasi cosa tu dica. Ovvio che lì pensi che ce li hai in pugno. Alla fine del colloquio, dopo circa un'ora e un quarto, ti salutano e ti dicono "Ci faremo sentire presto".
Torni a casa soddisfatta e inizi a pensare a cosa comprerai da IKEA per arredare la tua nuova casa (la vita è fatta di priorità), ché con un lavoro ti potrai anche permettere di andare a vivere di nuovo da sola (il mio chiodo fisso sono 2 tappeti HAMPEN, uno rosa e uno azzurro, attaccati al muro). Poi telefoni a mamma, in Sicilia, e le dici che hai fatto un colloquio e che credi non sia andato male, anzi! Dopo due giorni senti una tua carissima amica di Roma che faceva il tuo stesso lavoro e le fai le stesse domande che hanno fatto a te e lei ti dà le stesse risposte che hai dato tu. Dopo tre giorni parli con un'altra carissima amica di Roma che ti dice che ha un buon presentimento e che sta andando ad accendere un cero alla Madonna. Dopo quattro giorni un'altra tua amica ti chiede come è andato quel colloquio di cui le avevi accennato la settimana prima e, dopo il tuo racconto, ti offre una pinta di Guinness per festeggiare. Dopo cinque giorni l'azienda ti richiama e ti dice che non vai bene. "Ma come?!?!", dici. "Non avete fatto altro che annuire e sorridere e dirmi OK! Perfect! a ogni singola cazzata che dicevo!"
Addio sogni di gloria, addio tappeti HAMPEN alle pareti.
Il giorno dopo, con il morale sotto i piedi, devi ricominciare tutto da capo.

Tutto questo per dire che domani ho un colloquio a Dublino e anziché studiare sto scrivendo questo post.

mercoledì 12 dicembre 2012

Forse il più grande cruccio degli Italiani all'estero.

Oggi sono distrutta. Anche ieri lo ero, effettivamente. E anche il giorno prima. A dire il  vero è da quando sono in Irlanda che, arrivata a sera, crollo. E dire che passo le mie giornate davanti al PC mandando curricula (sì, sto cercando lavoro), quindi non è che faccio poi tutto questo sforzo. Arrivata ad una certa ora inizio a sbadigliare che manco se non dormissi da un mese. Sarà la vecchiaia, che ne so?, ma fino a qualche mese fa non era mica così. Tiravo tardi, anche fino alle 5 del mattino, chattando o semplicemente cazzeggiando sull'internèt. Vero è che poi dormivo fino a mezzogiorno abbondante... Mi sa che mi sono rammollita. O forse è solo la mancanza di caffè. Mamma mia, quanto mi manca il caffè... Qui hanno questo bibitone, che è pure buono, eh, io ne bevo due o tre tazze al giorno e mi piace molto. Ma... non è che voglio fare l'italiana a tutti i costi, anzi, però diciamocelo: cosa ne sa l'Irlanda del caffè? Niente.
Example given. L'altro giorno vedo un'insegna "Lavazza" mentre tornavo a casa da scuola. Mi sono quasi commossa, ché era già da un mese che non bevevo un caffè di quelli veri. Entro in questa specie di bar/caffetteria/pasticceria che niente ha a che fare con i bar/caffetteria/pasticceria italiani. Arredamento bianco e rosa, luci soffuse e una marea di dolcetti burrosi e/o cioccolatosi ben allineati in vetrina, su ogni vassoio una targhetta disegnata con l'indicazione del dolce, degli ingredienti e del prezzo in bella grafia nera su fondo rosa. Non era un negozio, era una bomboniera. La tipa dietro al bancone, in uniforme nera, mi sorride e chiede cosa prendo.
"Espresso, please".
Subito si mette all'opera... e commette il primo errore: afferra un bicchierone di carta, di quelli che in Italia troviamo da McDonald's per la CocaCola grande. Inizia a premere bottoni vari con aria vagamente perplessa e il mio sogno di prendere un buon caffè inizia lentamente a frantumarsi. Dopo qualche secondo spegne la macchinetta. Poi la riaccende, la fa andare per circa 15 secondi e poi la stacca di nuovo. Prende il bicchiere, lo guarda, lo rimette sotto al beccuccio e riaccende, per la terza volta, la macchinetta. Non ce la faccio:
"I think it's enough...", dico timidamente.
"Seems like it doesn't work...", fa lei. "This espresso is very short...".
"Can I see it...?", chiedo.  Mi passa il bicchiere. Dentro ci sono almeno due dita di caffè, forse un po' annacquato, ma che odorano di espresso.
Le dico: "It's ok, in this cup there are 3, maybe 4 espresso...". Strabuzza gli occhi. Proseguo: "You know, I'm Italian... in Italy espresso is very very very short...".
"So... is this ok with you?", chiede, speranzosa. Mi chiedo quanti espresso abbia preparato in vita sua e che rapporto abbia con la macchinetta della Lavazza.
"Yes, it's perfect! How much is it?"
"€ 2.20"
Porca miseria. Pago e sorrido. Nel frattempo il caffè si è già freddato in quella tazza di carta immensa. Però è buono. Beh, doveva esserlo per forza, visto che mi è costato più di un ombrello!

(in giro ho trovato questa pagina veramente carina!)

domenica 9 dicembre 2012

Fuori piove e tu non te ne accorgi.

Secondo una leggenda metropolitana, gli Inuit possiedono un numero insolitamente alto di parole per dire "neve". Qui in Irlanda, invece, ne hanno qualcuna in più degli italiani per parlare della pioggia. Noi abbiamo le declinazioni della pioggia: pioggerellina, piovasco, piove che Dio la manda. Qui hanno gli aggettivi: misty, pouring, drizzling. Per esempio, se adesso guardo fuori dalla finestra, mi sembra solo che il cielo è grigio, però se vado fuori a fumare una sigaretta (ché a casa non si fuma, eh) torno dentro umidiccia. Misty rain, la chiamano, che praticamente sarebbe quella pioggia-che-pioggia-non-è, sembra tipo nebbia. Una mattina sono uscita da casa, dopo aver speso tipo 20 minuti a sistemarmi i capelli e mi sono detta "Toh, c'è la nebbia... che bello! E' tutto ovattato!". Dopo circa mezz'ora di camminata mi sono accorta che i miei capelli erano fradici, gocciolanti. Fanculo la nebbia, 20 minuti buttati all'aria!
E poi non la chiamano solo "rain", ma anche "shower". Effettivamente certe volte torni a casa che sembra che ti sei fatto una doccia. Ovvio, questo capita se non ti sei portato un ombrello appresso. Io, dopo solo due mesi, ho già comprato due ombrelli. L'ombrello, in Irlanda, viene tenuto veramente in considerazione. Se vai in qualsiasi negozio trovi una varietà di ombrelli che te dico fermate. Colorati, a fantasia, girlish, seriosi, con o senza custodia. Le teorie contrastanti prevedono due differenti modus operandi in fase di acquisto di un ombrello:
1) ci spendi poco, pochissimo, praticamente un cazzo, tanto poi lo perdi o si rompe a causa del vento;
2) ci spendi mezzo stipendio e lo compri buono, veramente buono. L'altro mezzo stipendio lo usi per aprire una polizza assicurativa contro furto e smarrimento dell'ombrello stesso, e magari ci metti anche delle comode manette per tenerlo sempre attaccato al polso.
Io sono più una tipa da "modus operandi 1"
Il mio primo ombrello l'ho preso da €Giant, che sarebbe un negozio dove prendi tutto a 1, 2 o 4 €. "Solo 2 €?!?! Una svolta!", ho pensato. Ma io non sono poi così brava a fare acquisti: al primo utilizzo mi sono resa conto che il manico era troppo corto e quindi mi si anchilosava il braccio se lo tenevo aperto per più di 5 minuti. Al secondo utilizzo si è rivelato totalmente inutile perché pioveva in orizzontale. Al terzo utilizzo, viste le copiose raffiche di vento, se n'è andato a quel paese. Dannazione, pessimo acquisto. Ciò significa che ho dovuto comprare un nuovo ombrello d'urgenza. Adesso ne ho uno che è proprio fico: tutto trasparente con il bordo nero, manico a uncino, ripiegabile. Ogni volta che lo guardo mi sento figa perchè è proprio fashion. E ci ho speso solo 5 €! Facendo un calcolo rapido, se il primo che ho comprato è costato 2 € e mi è durato un mese, questo mi dovrebbe durare almeno 2 mesi... e sono già al giro di boa!


UPDATE Mercoledì 12/12/2012: Stavo spiegando le teorie di acquisto degli ombrelli a un mio amico mentre passeggiavamo per Shop Street e una signora che stava ascoltando la nostra conversazione (alla faccia della privacy) mi ha confermato, sorridendo e con vigorosa insistenza, che è meglio attenersi al primo modus operandi. La gente...!